L’Italia è all’avanguardia nel riciclo di carta e cartone. Un traguardo raggiunto grazie anche all’impegno e all’organizzazione Comieco, un importante riferimento del settore, come racconta non senza una nota di giustificato orgoglio il presidente Amelio Cecchini.
Come si possono inquadrare brevemente il ruolo, e l’attività, di Comieco oggi?
Siamo un Consorzio nazionale per il recupero e riciclo degli imballaggi a base cellulosica. Vale a dire, l’insieme di cartiere, produttori, trasformatori e importatori di carta e cartone per imballaggio. Nato nel 1985 come ente privato dalla volontà di un gruppo di aziende del settore, dal 1997 è diventato consorzio nazionale per il riciclo di questo tipo di materiale, in linea con la legislatura nazionale e comunitaria.
Qual è il ruolo principale?
Facciamo parte di Conai, e i nostri consorziati sono produttori, importatori e trasformatori di materiale e di imballaggi cellulosici, possono aderire anche i recuperatori. Il Consorzio stipula con le Amministrazioni locali convenzioni per la raccolta differenziata, e collabora nel gestirne il sistema e dell’avvio a riciclo.
Oltre a questo più istituzionale, avete anche compiti diversi. Quali sono i più importanti?
Uno al quale teniamo molto è l’attenzione al packaging design. Stimolare e collaborare con le aziende nell’introdurre principi mirati ad agevolare il riciclo fin dalla fase di progettazione. Per esempio, con una catena di fast food, abbiamo lavorato in modo da riuscire a ridurre il più possibile la presenza di plastica nei contenitori di cibo e bevande e separare la parte organica, così da recuperare tutta la parte cartacea. A Milano invece, abbiamo introdotto una raccolta distinta degli imballaggi di cartone per attività commerciali, spesso troppo ingombranti per aspettare il giorno di raccolta o problematici da inserire in cassonetti.
Spesso, soprattutto all’estero, si fa distinzione nella raccolta tra carte e cartone, voi come vi regolate?
In generale, raccogliamo tutto insieme, come sancito anche da un accoro con ANCI. Siamo forse l’unico Paese a farlo, ma a noi interessa ritirare soprattutto materiale, non solo imballaggi. Tutto quanto contiene carta, è una materia prima buona da sfruttare. Spetta a noi procedere alla separazione nelle varie classi di macero. Il nostro, è un esempio che ha attirato l’attenzione dell’UE.
Cosa comporta sul fronte del trattamento, anche per quanto riguarda i costi?
Dove c’è un valore, nel nostro caso della fibra di cellulosa, e può essere trattato a macero, per noi vale la pena di ritirare tutto. Siamo un Paese povero di materie prime e questa per noi è una risorsa importante. A seconda della lavorazione, e della qualità risultante, poi il materiale viene rivenduto alle cartiere con prezzi diversi.
Quanto si riesce a recupere oggi in Italia?
Siamo già ampiamente sopra l’obiettivo UE del 70% di imballaggi entro il 2030. In realtà, siamo stabilmente sopra i 90%, ma continuiamo a lavorare per intercettare anche il restante. Parliamo di circa trecentomila tonnellate portate in discarica. Ci sono aree geografiche dove i margini di miglioramento sono importanti, anche in alcune grandi città.
Come si può raggiungere l’obiettivo?
Prima di tutto con tanta informazione e sensibilizzazione verso aziende e privati. Oltra alla consapevolezza di un gesto al servizio dell’ambiente, parliamo di un valore, nell’interesse di tutti, a partire dalle aziende e dai costi per la materia prima. Inoltre, attività importanti anche con le scuole, dove tra i giovani emerge molta attenzione sull’argomento.
Si può fare anche un discorso di qualità sul materiale recuperato da Comuni e aziende incaricate?
In generale, sì. Possiamo contare su una materia prima sicuramente molto buona. Anche se in Italia le aree boschive sono in aumento, dal punto di vista della cellulosa dobbiamo considerarle foreste povere. L’alternativa sarebbe importarla dai Paesi Scandinavi o dal Canada, dove crescono le piante più adatte con fibre lunghe e resistenti, a costi naturalmente maggiori.
Come si è organizzata di conseguenza la filiera italiana?
Consideriamo la foresta urbana la nostra fonte di materia prima. Possiamo contare su tante aziende capaci di sviluppare competenze utili a trasformare nel tempo il materiale di recupero in grammature sempre più basse. Oggi siamo sempre più vicini alle caratteristiche della cellulosa vergine. Un elemento utile anche per ridurre lo spessore degli imballaggi, e quindi il costo.
Fino a quale punto ci si può spingere?
Restano comunque margini di miglioramento, anche perché il nostro ciclo è meno costoso di altri. Per esempio, il residuo che non riusciamo a trattare finisce comunque nell’organico, mentre per chi recupera plastica questo è un problema e un costo. Ci sono alcuni settori, come il contatto alimentare, dove si usa ancora carta vergine perché non riusciamo a garantire del tutto l’assenza di alcuni materiali non adatti. C’è inoltre un altro aspetto meno immediato da considerare.
Di cosa si tratta?
Se continuassimo a riciclare la stessa fibra, l’operazione non si potrebbe ripetere più di sei o sette volte. Mantenendo invece una percentuale di cellulosa vergine, la vita del materiale riciclato si allunga fino a venti volte. Per questo trattiamo anche materiali complessi e all’apparenza non convenienti come il Tetrapack, perché al suo interno c’è una buona percentuale di materia prima originaria.
Dal punto di vista dell’ambiente, quanto si traduce in impatto sul taglio di piante?
È uno dei miti da sfatare; l’industria della carta non ha un effetto negativo sull’ambiente. A patto naturalmente che per ogni pianta tagliata ne venga ripiantata almeno un’altra. In realtà, in genere ne vengono interrate anche tre, perché è interesse prima di tutto dei produttori garantirsi materia prima di qualità nel tempo. Inoltre, un albero nuovo è in grado di assorbire più CO2 rispetto a uno vecchio e destinato a marcire. Sempre guardando al giusto equilibrio, perché una parte è anche utile sia lasciata sul terreno.
Quali saranno le prossime mosse?
Prima di tutto aumentare ancora la raccolta. Nel 2023 abbiamo immesso sul mercato 5 milioni di tonnellate di imballaggi da materiale riciclato, in pratica nove su dieci. Stiamo ancora raccogliendo i dati del 2024, ma dai primi indicatori possiamo parlare di un aumento intorno all’1%. Abbiamo già raggiunto e superato l’obiettivo UE 2030. La sensibilità nei Comuni è cambiata, c’è maggiore disponibilità perché hanno percepito vantaggi sia economici sia a livello di immagine e per l’ambiente. D’altra parte, i costi della raccolta aumentano e per gli Enti Locali è sicuramente un problema. Siamo anche disposti a riconoscerne una parte, puntando però a una maggiore qualità di carta e cartone riciclati, ricavando quindi più valore.